Si è brillantemente laureata in Scienze Infermieristiche, presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli, Giusy Pasciuti, diplomata all’Istituto PIA di Lacedonia. È stata tra le prime studentesse ad aver avuto la possibilità di discutere la sua tesi in presenza dopo le chiusure dovute alla pandemia. Mai come di questi tempi si è compreso appieno quanto sia necessarie competenze di tal fatta nell’ambito della società, pertanto le auguriamo un futuro di grandi soddisfazioni a livello lavorativo.
Non affatto semplice l’argomento della tesi che ha scelto di redigere: “L’infermiere strumentista: ruolo e competenze in ambito chirurgico”.
Un augurio giunge dalle sue docenti del PIA, in particolare dalla prof.ssa Antonella Cericola e dalle sue compagne di scuola.
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Che il volo ti conduca alle porte del Paradiso, carissimo Leonardo, in compagnia della tua chitarra, sospinto dall’amore dei tuoi cari, dall’affetto e dalla stima dei tuoi amici.
Non ti farò un torto, amico mio, adoperando, per dirti arrivederci, quella retorica che a te non piaceva per nulla e sulla quale spesso ironizzavi con battute fulminee e spiazzanti, intelligenti e sottili, con le quali usavi stigmatizzare le tante strambe manifestazioni della realtà umana, che comunque osservavi con occhio benevolo, essendo a tua volta dotato di profondissima umanità.
Non mi sono per nulla sorpreso quando mi è stato detto che hai tenuto celata quasi a tutti, eccezion fatta per i più stretti familiari, la presenza dell’assassino che aveva invaso il tuo corpo e contro il quale hai combattuto a testa bassa e con estremo coraggio fino all’ultimo momento, trovando persino la forza di scherzare, nel tentativo di non gravare i tuoi cari di un fardello di dolore troppo pesante. I tuoi amici non ne hanno saputo niente fino ad oggi: ogni forma di commiserazione ti era indigesta. Se infine il tuo corpo ha dovuto cedere, non così il tuo spirito! Paradossalmente sei tu il vincitore, perché non hai consentito a ciò che ti stava lentamente sottraendo il respiro di privarti della volontà di combattere.
Per chi non ti ha conosciuto dirò che sei stato un fedele ed efficace difensore della giustizia, che hai servito, come il tuo mai troppo compianto padre, nell’Arma, ma sei stato anche e soprattutto un musicista, nel senso pieno del termine. Tu avevi compreso fin da giovanissimo che l’essenza della vita, anzi la sua voce più vera, è proprio la musica ed avendola incontrata non te ne sei più allontanato.
Sei stato, anzi sei (voglio parlare al presente) un vero amico per moltissimi di noi e credo veramente di interpretare la volontà di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di interagire con te manifestando un sincero dolore che solo il tempo attenuerà, anche se non riuscirà mai a dissolverlo.
A tutti i tuoi cari le più sentite condoglianze.
P.S. Non mi sono affatto sorpreso quando ho saputo che pochi mesi or sono Leonardo è riuscito a venire a capo di un femminicidio che per molti anni era rimasto irrisolto: questo è stato il suo ultimo prezioso regalo alla società italiana che ha servito con tanta abnegazione.
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Lunedì 1 febbraio, a Lacedonia, ha preso fuoco un appartamento all’ultimo piano del palazzo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) situato al civico 55 di Rione Vittorio E. III, di fronte alla chiesa della SS. Trinità. L’incendio, domato dai pompieri, ha distrutto l’abitazione con tutto il suo contenuto, lasciando intatti soltanto degli indumenti bagnati dall’acqua abbondantemente versata dai pompieri. Grazie a Dio gli inquilini non hanno subito nocumento fisico, pur nel comprensibile spavento e nell’infausta perdita dei beni materiali contenuti in casa. Anche lo stabile non pare abbia riportato, fortunatamente, danni strutturali, ragion per la quale sarà possibile procedere ai lavori di ristrutturazione e quindi alla restituzione della casa alla famiglia vittima di tale disastroso evento. Sembrava che l’incidente fosse destinato a chiudersi in questo modo ma, evidentemente, talvolta la malasorte tende ad accanirsi. Fatto è che stamattina, 3 febbraio, intorno alle ore otto mattutine, una colonna di fumo si è levata, di nuovo, dall’appartamento. Per il tramite della vox populi si è diffusa l’ipotesi, peraltro molto probabile, che talune braci non si siano spente completamente perché protette da materiali idrorepellenti e che, dopo aver covato per due giorni, per l’azione del vento che entrava dalle finestre sfondate, abbiano ripreso vigore dando vita ad un nuovo incendio. Tutte le autorità cittadine sono state allertate contemporaneamente ai pompieri e immediatamente i Carabinieri, con il sindaco Antonio Di Conza e il dipendente comunale Antonio Pasciuti, sono accorsi sul posto molto prima dei Vigili del fuoco, i quali, come è noto, non hanno sede a Lacedonia ma, se chiamati, pur con grande solerzia sono comunque costretti a giungere da altre località, la più vicina delle quali è Bisaccia. Constatato che il fuoco rischiava di divampare nuovamente, ponendo stavolta a rischio l’intero edificio, il maresciallo Andrea Casadei, comandante della stazione Carabinieri di Lacedonia, con l’appuntato Ignazio Pisani, con l’ausilio già citato Miche Pasciuti e con il prezioso apporto dell’inquilino dell’appartamento prospiciente, hanno formato una catena umana e con dei secchi riempiti con l’acqua attinta alla rete della suddetta abitazione sono riusciti a domare le fiamme spegnendo definitivamente il nuovo focolaio prima che fosse troppo tardi. Certamente la loro azione ha evitato che la struttura subisse danni ulteriori, poiché una parete non portante interna, fortunatamente solo un tramezzo, è crollata per l’azione del calore. Chi scrive non può fare a meno di elogiare lo spirito di iniziativa, quello di abnegazione ed il coraggio degli uomini al comando del capitano Gianpio Minieri, estendendo l’apprezzamento a Michele Pasciuti ed al concittadino che si è prestato a porgere il suo aiuto.
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La statua della Santissima Vergine Addolorata che si animò a Lacedonia nel 1948 e che apparve in sogno alla bambina
Chi crede che la pandemia che stiamo vivendo ai giorni nostri costituisca una novità commette un notevole errore di valutazione. Nei fatti, invece, soltanto nel Novecento se ne scatenarono tre molto gravi, per non dire delle tantissime altre che ebbero minore diffusione. Gli amanti della cabala e della numerologia potrebbero trovare interessante la ricorrenza del numero otto: nel 1918, infatti, si palesò la “spagnola”, che portò alla morte ben 50 milioni di persone nel mondo; a cavallo del 1857 e il 1958 comparve invece la cosiddetta “asiatica”, che produsse due milioni di decessi, mentre nel 1968 tale virus si ripresentò mutato, uccidendo un altro paio di milioni di persone.
All’epoca della diffusione dell’influenza “asiatica” Carmelinda Novellino, di Lacedonia, era soltanto una bambina che viveva, con la sorellina, presso la nonna, essendo i genitori in Svizzera per lavoro, come avveniva sovente in quegli anni. La progenitrice teneva con sé le nipoti nella sua piccola abitazione, che si trovava all’interno dell’Istituto Magistrale, essendone ella la custode. Il virus, all’epoca, non risparmiò nessuna zona, neppure quelle più interne, per quanto gli spostamenti umani non fossero frequenti come quelli attuali. Nel 1918 la fine della guerra comportò il rientro di molti militari, cosa che facilitò oltremodo la diffusione della “spagnola”, ma per quanto nel 57/58 non si fosse verificata alcuna contingenza analoga, la rarità degli spostamenti non servì a salvare nessun luogo. Anche a Lacedonia si ammalarono molte persone, tra le quali le due sorelline, che per molti giorni patirono gli effetti della polmonite, con febbri altissime che lasciarono presagire un esito infausto per entrambe. Carmelinda, che soffriva parecchio, rivolgeva incessanti preghiere all’indirizzo della Madonna Addolorata, la cui effigie ella identificava con la statua che si trovava, ed ancora trova la sua sede, nella chiesa di Santa Maria della Cancellata. Dieci anni prima tale simulacro si era animato ed aveva mosso gli occhi ed il petto moltissime volte nel corso dei dieci giorni nei quali si produsse tale straordinaria fenomenologia, che attrasse a Lacedonia migliaia di pellegrini provenienti da tutto il meridione e dal centro dell’Italia, e dopo due lustri la eco di tali eventi ancora non si era spenta, ragion per la quale l’Addolorata di Santa Maria era particolarmente venerata.
Fatto è che nel corso di una notte la piccola sognò la Vergine Maria ritratta in quelle sembianze e le parve che ella le indirizzasse un sorriso rassicurante. La mattina seguente entrambe le bimbe mostrarono visibili miglioramenti e in brevissimo tempo il virus abbandonò i loro corpicini perfettamente guariti. Naturalmente i medici non seppero offrire alcuna spiegazione di tale guarigione così rapida e neppure i sacerdoti locali, che erano venuti a conoscenza del fatto, vollero sbilanciarsi più di tanto, lasciando che l’eco decantasse e che non se ne parlasse più.
Naturalmente non sarò io a gridare al miracolo, il cui accertamento compete alla Chiesa, ma non posso fare a meno di notare un atteggiamento sociale, e parlo naturalmente dell’intellighenzia, tipico di Lacedonia, alquanto freddo rispetto ad una fenomenologia che non definirò miracolosa, ma quanto meno di difficile o impossibile spiegazione.
È come se la gente di cultura o quella appartenente ai ceti più elevati, nelle epoche precorse, ivi compresi gli esponenti del clero, abbia sofferto di rispetto umano o abbia nutrito il timore di essere tacciata di follia laddove avesse aperto le porte alla possibilità che esista qualcosa che vada oltre la nostra modesta capacità sensoriale e le ancor più ristrette possibilità di decodifica del reale della nostra ragione, i cui limiti sono ben evidenti. Eppure Lacedonia è stata teatro, nel corso della sua storia, di miracoli accertati ed accettati dalla Chiesa, a cominciare da quelli famosissimi di san Gerardo Maiella nel Settecento, ed ancor prima da quelli del vescovo Giacomo Candido agli inizi del Seicento.
Io non mi spiego il perché di questa sorta di reticenza a parlarne.
William Shakespeare scrisse, in maniera estremamente felice, «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia», ammonendo, con ciò, a fidarsi di meno della nostra percezione e ad aprire le porte della mente a possibilità che vanno ben oltre le facoltà percettive della nostra progenie.
E, invece, è come se ci si vergognasse almeno di riconoscere, in pubblico, la possibilità che si verifichino fatti straordinari, miracolosi, per opera di Dio, per definizione “onnipotente”.
Non si nega e non si afferma, restando in un limbo che pone al riparo dai giudizi altrui. Non si opera con chiarezza quella scelta, indicata dai Vangeli, tra i “due padroni”, che metaforicamente è possibile indicare nella fiducia nel trascendente o nella latria nei confronti della ragione umana, che è portata a negare tutto ciò che non vede.
Victor Hugo scrisse «Dio è l’invisibile evidente!» ed io penso che parte di tale evidenza, che si palesa già nella bellezza del visibile e del tangibile, si manifesti anche in una fenomenologia che travalica le nostre possibilità di comprensione.
Non so per certo se la guarigione delle due bambine di Lacedonia possa definirsi un miracolo, e a distanza di tanto tempo credo sia impossibile addivenire ad una certezza qual che sia, ma io non lo escludo affatto, perché io credo fermamente alla possibilità che possano verificarsi miracoli (pur nell’assoluto rispetto di chi la pensa diversamente).