Il "Bambinello" adoperato da san Gerardo per compiere il Miracolo del Pozzo - All'epoca dell'evento prodigioso il Gesù Bambino era senza corona e senza piattaforma, elementi che sono stati aggiunti successivamente, quando se ne è diffusa la venerazione.
Un primo piano
L'atto di venerazione da parte di S. E. il vescovo Mons. Sergio Melillo
Un momento della Santa Messa
Il dott. Antonio Pio pronuncia la Prima Lettura
La seconda lettura pronunciata dalla prof.ssa Rosaria Pasciuti
L'omelia di S. E. il vescovo Mons. Sergio Melillo
Il parroco di Lacedonia don Giuseppe Kizhakel
I ringraziamenti del sindaco avv. Antonio Di Conza a nome della comunità di Lacedonia
Il vescovo con don Giuseppe e don Gerardo
L'esposizione del Bambinello ai fedeli
Il collocamento del Gesù Bambino nella sua nicchia
Gesù Bambino nella nicchia che lo ospita
La targa devozionale in suffragio dei genitori del dott Antonio Pio collocata di fianco al passaggio dalla cattedrale al Pozzo del Miracolo, i cui lavori sono stati finanziati dallo stesso dott. Pio
Il passaggio de quo
Una curiosità storica: anche la costruzione dell'altare della Madonna del Carmine, situato a fianco dell'antico passaggio riaperto, fu finanziato da membri dela famiglia Pio, ovverodal prof. Giuseppe, docente universitario di cardiologia, e dal di lui fratello Dionigi, che era Canonico e teologo.
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N. B.
LA CELEBRAZIONE SI È SVOLTA ALLA PRESENZA DI POCHE PERSONE RISPETTO ALLA CAPIENZA DELLA CATTEDRALE IN OTTEMPERANZA ALLE NORME ANTICOVID E NEL RISPETTO DI TUTTE LE REGOLE PREVISTE DALLA NORMATIVA VIGENTE, COME VERIFICATO DALLE AUTORITÀ PREPOSTE
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Sarà S. E. il vescovo della diocesi di Ariano – Lacedonia, mons. Sergio Melillo, a riportare la statua di Gesù Bambino alla quale si rivolse il giovanissimo san Gerardo, quand’era al servizio nell’episcopio lacedoniese, per recuperare la chiave dell’appartamento episcopale che gli era caduta nel pozzo.
Lo storico rientro di una preziosissima reliquia che si credeva perduta è previsto intorno alle 17,30 di domani, 7 aprile 2021, all’ingresso della Cattedrale, presso il quale il vescovo consegnerà metaforicamente nelle mani della popolazione di Lacedonia il “Bambinello” consegnandolo al parroco don Giuseppe Kizhakel.
Devo veramente elogiare la vicinanza e l’attenzione che mons. Melillo non perde occasione di dimostrare, perché il ritorno del Gesù Bambino di san Gerardo è solo l’ultima delle risoluzioni prese a nostro favore. Non tutti sanno, infatti, che di recente egli ha fatto restaurare il Trittico di Andrea Sabatini da Salerno della fine del Quattrocento, operazione che era estremamente necessaria perché esso si andava deteriorando irrimediabilmente. Naturalmente ciò si rende possibile grazie alla presenza in loco di un sacerdote come don Giuseppe che, oltre ad esercitare con passione e amore cristiano il suo mandato pastorale, si è dimostrato essere anche una inesauribile fonte di iniziative che stanno veramente cambiando il volto dei luoghi di culto e di cultura dei quali Lacedonia è letteralmente costellata. Oltre alla cattedrale e alle migliorie apportate a Santa Maria, egli ha risolto gli atavici problemi di decadenza della chiesa di san Filippo e di quella dei Beati Morti.
Vero è che, avendo trovato una sponda validissima e di grandissima competenza nel responsabile dei beni culturali della diocesi don Luigi De Paola, le operazioni finalmente si intraprendono e si portano a termine.
La statua del Gesù Bambino di san Gerardo troverà la sua collocazione perpetua, di fronte alla reliquia ossea del Santo, in una nicchia fatta scavare appositamente nel vano dell’antico passaggio dalla cattedrale al “Pozzo del Miracolo”, riaperto nelle scorse settimane con il contributo devozionale del dott. Antonio Pio.
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Un gennaio freddo, si legge nelle cronache dell’epoca, quello del 1920, periodo storico difficilissimo perché da poco aveva avuto termine la Grande Guerra ed imperversava la devastante pandemia della spagnola, che andava mietendo vittime a milioni nel mondo, particolarmente virulenta anche nei nostri paesi. Molti i bambini che, aggrediti dal morbo o per mille altre cause, stante un altissimo indice di mortalità infantile, lasciavano prematuramente questo mondo. Il 31 di tale gelido mese vide la luce Carmelinda Cira Zichella e già da infante la madre le fece indossare in due occasioni la “campanella”, ovvero la veste bianca da angioletto con la quale si usava vestire i bambini transitati o in procinto di trapassare a miglior vita, perché ella, per ben due volte, si ritrovò in grave pericolo di morte. In entrambi i casi, fortunatamente, sfuggì agli oscuri artigli della signora con la falce, ragion per la quale la genitrice ebbe ad affidare la “campanella” ad una vicina di casa perché la lavasse in qualche ansa del fiume Osento, il quale, nell’ambito della società contadina, era la “lavanderia” soprattutto della povera gente. Un’ondata di piena, però, si portò via la veste e, mortificata, alla donna altro non restò da fare se non comunicare la cosa alla sua amica. Tale evento, però, fu accolto come un ottimo presagio in casa di Carmelinda, al punto che la mamma ebbe ad affermare che la figlia sarebbe vissuta per cento anni.
Ebbene, oggi quella soglia è stata superata di un anno, perché ne ha compiuto centouno, e, come gli auguriamo di tutto cuore, la sua esistenza si protrarrà per moltissimi anni ancora.
Eppure la sua epifania esistenziale non è stata affatto tutta rose e fiori, la qual cosa, del resto, è comune a tutti gli appartenenti a quelle generazioni. A livello generale, i suoi occhi hanno visto il terremoto del 1930, mentre, come tutti, ha patito le avversità e la penuria materiale connesse alla Seconda Guerra Mondiale e comunque alle condizioni sociali di quei decenni. A livello personale, per giunta, ha vissuto vicende estremamente dolorose che avrebbero piegato l’animo di chiunque, ma non il suo, forgiato nel sacrificio, che l’ha resa donna di ineccepibile moralità e madre impeccabile, qualità che le hanno consentito di portare avanti la famiglia con grandissima abnegazione e coraggio. Dei suoi otto figli, infatti, ben tre non sopravvissero ai primi mesi di vita. Della restante prole, quattro donne e un uomo, una figlia le è venuta a mancare anni or sono, procurandole un ulteriore profondissimo dolore. La sua bella famiglia si compone, inoltre, di sette nipoti e otto pronipoti, dei quali l’ultima nata ha ben 100 anni, 7 mesi e 15 giorni in meno.
Anche una delle sorelle, Filomena, che era emigrata negli U.S.A., ha abbondantemente sforato il secolo di vita.
Per quanto non sia stato possibile, per le restrizioni dovute all’attuale pandemia, festeggiare laicamente tale ragguardevole traguardo, pure Carmelinda è stata omaggiata tanto dalla comunità ecclesiale quanto da quella civile. Ha infatti voluto celebrare una messa solenne il vescovo della diocesi di Ariano-Lacedonia, S. E. Mons. Sergio Melillo, accanto al parroco don Giuseppe, mentre, a nome dell’intera popolazione, il sindaco Antonio Di Conza le ha consegnato una targa.
S. E. Mons. Sergio Melillo
Il parroco don Giuseppe
La signora Carmelinda Cira Zichella con le figlie
La consegna della targa da parte del sindaco
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Il gonfalone di Lacedonia esposto nel santuario
Il vescovo e il rettore del santuario
Il rettore padre Davide Perdonò
Il vescovo mons. Sergio Melillo
Don Giuseppe, parroco di Lacedonia, regge l'anfora con l'olio
Il parroco e il sindaco di Lacedonia versano l'olio nella lampada perenne
Accensione della lampada da parte del sindaco Antonio Di Conza